“Alto come un granatiere, asciutto, tutto tendini e ossa, il generale Papa ricorda uno di quei montanari di razza, che hanno ottenuto dalle Alpi nervi come il granito, inflessibile tenacia, silenzio meditativo, instancabile attività. Ha gli occhi turchini come il cielo quassù, nei giorni chiari. Sono lucidi come la sua mente. Avevano il lampeggiare di un una improvvisa tempesta. I soldati lo amano come amano il babbo. E’ sempre presente”.
I soldati nuovi lo guardavano con stupore, i vecchi con orgoglio. Era il loro Generale, il loro padre; era colui che s’impensieriva delle loro sofferenze, dei loro bisogni, che assag- giava il rancio, domandava notizie delle famiglie, e spiegava pianamente, con la modesta autorità del maestro di scuola, perchè era necessario far la guerra, e sopportare il freddo e patir la sete e sfidar la morte e raccogliere le cartucce. Quando uno dei suoi era caduto valorosamente, foss’anche il più ignoto gregario, scriveva alla famiglia lettere piene d’affetto; le famiglie rispondevano chiedendo notizie, chiedendo consolazioni, chiedendo aiuti, e il Generale, dopo giornate di lavoro estenuante, vegliava buona parte della notte intento a quel suo epistolario di carità.
Ora l’ombra Sua è tornata al suo Pasubio, e veglia armata lassù fra le nevi virginee. Il Pasubio egli lo aveva scrutato, munito, difeso con geloso amore, e ne aveva fatto quel baluardo non espugnabile contro il quale si infranse cento volte la rabbia nemica. Il Pasubio e Papa, i due giganti, s’intendevano: il Generale aveva l’aria di accarezzare il monte, e il monte pareva rispondergli: «Non temere, io non li lascerò passare».
Due amori, dopo quello religioso del dovere, egli nutriva nell’anima: il Pasubio e la Brigata Liguria. Quando dovette lasciare l’uno e l’altra, l’uno che aspro, scosceso, bianco di neve e sorgente nell’azzurro simboleggiava l’aspirazione dell’anima sua all’ Ideale, l’altra che egli aveva plasmato a sua immagine, legione di impavidi, falange sacra, guardia che muore ma non s’arrende, quando dovette lasciarli ebbe un vero schianto.
A Voi lo giuriamo, ombre venerate, a Te, sacra e venerata fra tutte, ombra di Achille Papa, a Te che insegnasti con la vita e con la morte l’augusta parola del dovere: cursum consummavi, fidem servavi… A Te che aspetti e chiami dal tuo lontano sepolcro che il barbaro profana, facciamo solenne giu- ramento: noi verremo! Verranno i tuoi fanti che ama- vi, udrai il passo e il grido: Savoia! e dormirai consolato all’ombra del tricolore.
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Achille Papa morirà alle 13:30 del 5 ottobre 1917 dopo che, nella mattinata, esponendosi da un parapetto del cocuzzolo n°5 di Quota 800 di Na-Kobil sull’altopiano della Baisizza, era stato colpito al petto da una pallottola esplosiva che gli dilaniò il polmone.
“Ai miei figli lascio l’esempio d’una vita intemerata dedicata con costante passione alla Patria ed alla famiglia e sono sicuro che, se sorretti dalla madre, seguiranno tale esempio.Funerali semplici, niente musica, né Ufficiali comandanti. Vengano i miei figli se si sentono di accompagnarmi e qualche vero amico se me ne resteranno.Desidero andare sottoterra e se non sarà lontano, nel cimitero del mio paese a Desenzano, vicino ai miei vecchi genitori.Sulla Croce il mio nome e cognome, senza gradi e le parole “Visse amando la Patria e la famiglia”
Il testamento di Achille Papa.
Fu, prima che un grande comandante, un grande uomo.
Si ringrazia il Museo Delle Forze Armate 1914-1945 di Montecchio Maggiore per i contenuti.
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